Vincitori: Gabriela P., Paola S., Laura C., Paolo C., Danilo N., Daniela M.
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Parrochiale di Santa Sofia - San Vero Milis (OR) La parrocchiale di S.Sofia sorse nel 1604, durante l'Arcivescovado di Antonio Canòpolo, ad opera del genovese Agostino Carèli e del cagliaritano Francesco Escàno, come risulta dall'iscrizione conservata a lato dell'altare maggiore. Nel 1742 l'arcivescovo Vincenzo Giovanni Vico Torrèlles consacrò la chiesa e l'altare, includendovi le reliquie. Nello stesso anno si diede inizio ai lavori di costruzione del campanile, che venne completato nel 1802. Tre anni più tardi il cupolino venne abbattuto da un fulmine, rifatto nel 1838, subì ancora danneggiamenti e venne ricostruito definitivamente nel 1952. La chiesa presenta aspetti interessanti e originali: La facciata, tipica dell'ecclettismo sardo di quel periodo, comprende elementi di diversa tradizione artistica: - un rosone circolare cigliato, in trachite rossa, che attesta il perdurare di motivi di tradizione gotica; - tre ingressi incorniciati da modanature di schema rinascimentale, resi in maniera popolareggiante; - un coronamento, dal profilo assai singolare, con al centro un lunettone che segue l'andamento del rosone circolare e ai lati due alette. Elementi che secondo gli studiosi Corrado Maltese e Renata Serra, rappresenterebbero la trascrizione in piano di un prospetto scenografico ad ali, tipico di molta architettura barocca. Il prospetto posteriore è di notevole interesse per la presenza, su un basamento più ampio, di un paramento murario di cromo ottenuto con la sovrapposizione di filari di blocchi in arenaria e in basalto. All'interno la chiesa presenta un'ampia navata centrale, coperta da volta a botte, che termina nel presbiterio dove è posto l'altare maggiore, ricco di marmi policromi finemente intarsiati. Sui due lati della navata si affacciano sei cappelle rettangolari coperte da volte a padiglioni lunettati. Il campanile, a pianta quadrata, è sormontato da un cupolino a bulbo sul modello di quello della torre campanaria del Duomo di Oristano. Info tratte da: http://www.sanvero.it/ |
Vincitori: Dino P., Gabriela P., Laura C., Giampaolo D., Paolo C., Paola S., Federica P., Oscar S.
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Domus de Janas di Corongiu e S'acqua Salida - Pimentel (CA) Un’occasione archeologica abbastanza vicina a Cagliari, poco conosciuta e facilmente accessibile in auto si trova in territorio comunale di Pimentel, un piccolo centro della Trexenta ad una decina di chilometri da Senorbi. Per raggiungere Pimentel da Cagliari converrà percorrere la Carlo Felice fino a Monastir, e poi deviare a destra per Senorbi lungo la statale 128. Al chilometro 10.3 è il bivio, sulla sinistra, per Pimentel, che si trova a due chilometri più avanti. Le zone archeologiche di Pimentel meritevoli di una visita sono due, ed abbastanza contigue l'una all'altra. Entrambe si trovano all'inizio della nuova strada per Guasila, adiacenti ad un largo rettilineo d'asfalto di recente sistemato. Nella prima è da visitare un'unica domus de janas di particolare interesse, perché decorata con vari disegni a rilievo (località Corongiu); nell'altra zona (località Pranu Efisi) son da visitare invece due gruppi di domus de janas complessivamente almeno una decina di tombe, di notevole interesse architettonico. Ma torniamo alla prima zona, quella della domus de janas di Corongiu. Per raggiungerla occorre imboccare la strada per Guasila, e voltare a sinistra dopo poche centinaia di metri immediatamente prima di un ponticello. Individuare la strada giusta é relativamente facile poiché questa è una stradina di fondovalle che corre lungo il letto di un fiume asciutto. Dopo circa duecento metri, sulla destra appare improvvisamente la domus de janas, proprio sul ciglio della strada. E' una tomba particolare, abbastanza nota agli archeologi, un pò meno ai non "addetti ai lavori" con una caratteristica quasi unica: le decorazioni. Ha il pozzetto verticale di accesso, l'anti-cella (che é una specie di pre-camera sepolcrale posta prima della cella) e infine la camera sepolcrale vera e propria. I motivi decorativi sono sopra ed ai lati del portello d'ingresso, che separa l'anti-cella dalla cella. Il disegno é costituito da un elemento verticale, dal quale si dipartono lateralmente delle spirali, ed é stato interpretato come una rappresentazione grafica della Dea Madre, in cui le spirali sono gli occhi e l'elemento al centro il profilo del naso. La Dea Madre sarebbe quindi anche una Dea degli Occhi che ha sotto la sua protezione il defunto. A fianco é riportato anche un motivo a zig-zag che sembra ricordare un mare con delle barche, e potrebbe richiamare il mondo dell'aldilà. Sulla base di queste decorazioni gli archeologi hanno proposto una datazione che va tra il tardo neolitico ed il protocalcolitico (inizio dell'Età del Rame), e cioé tra il 2.300 e il 2000 a.C. Il graffito é ben in rilievo rispetto al piano di fondo, ed é sottolineato con sostanza rossa. Forse il colore stesso, il rosso, diventa simbolo poiché significa sangue, vita e rigenerazione della medesima, e su una tomba acquista il significato simbolico di sconfitta e superamento della morte stessa. Il contenuto delle immagini, qualunque sia il loro significato, è assolutamente geometrico e surreale, sia perché è legato al mondo della tomba, sulle cui pareti il disegno si sviluppa, sia perché l'immagine è astratta, affidata a simboli quali zig-zag, spirali, cerchi concentrici, linee, di cui possiamo solo azzardare una decifrazione. Petroglifi con motivi abbastanza analoghi si ritrovano a New Grange, in Irlanda, e sono stati datati agli inizi dell'Età del Bronzo, (1800-1600 a.C.). La singolarità di questa tomba di Pimentel è l'aspetto della Dea Madre come Dea degli Occhi onniveggente, che vigila sul sonno del defunto. Insolito ed interessante anche il motivo ad onde su cui si affacciano degli elementi circolari in cui gli archeologi hanno identificato delle barche e il fregio a zig-zag richiama l'acqua, ed attraverso l'immagine simbolica del fiume o del mare filtra il significato dell'acqua come vita che si rigenera dopo la morte. Info tratte da: http://www.comunepimentel.it |
Vincitori: Paola S., Dino P., Fabrizio M., Gabriela P., Francesca B., Mario Z., Mario L., Renato M., Giorgio P.
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Chiesa di Santa Maria di Malta - Guspini (VS) L'antica chiesa di Santa Maria di Malta è il più antico monumento architettonico dell'abitato, riconducibile all' XI -XII secolo. Di stile Romanico - Pisano, l'antico luogo di culto è a pianta rettangolare, tripartito, con dieci arcate che nascono da pilastri quadrangolari, con stretta cornice di imposta in luogo del capitello e con abside semicircolare ad oriente. La copertura a doppio spiovente con travature di legname e capriate lignee nel voltone. L'illuminazione era ed è ancora , dopo un importante restauro, regolata da piccole monofore nella parte alta, nelle navate laterali e nell'abside. Più rilevante e significativa risulta l'ampia finestra nella facciata, sotto il sopracciglio del portale di ingresso. La facciata, ampiamente rimaneggiata nella parte bassa, conserva ancora i suoi archetti pensili, sormontati da alloggi per bacili ceramici che s'impostano su peducci prismatici e due protomi antropomorfe centrali. All'interno si conservano presso l'abside, una decorazione fogliata, sulla cornice d'imposta del cantone sinistro dell'ultimo arco; un'acquasantiera in trachite grigia ove si intravede una scritta, in parte ancora leggibile, ingubbiata di bianco sul labbro superiore. Sulla parete nord, sopra una teca che custodisce l'Assunta dormiente, si può ammirare una tela del 1796 di Michelangelo Medici. La chiesa dotata di un proprio monastero che si apriva sul lato sud era retto dall'ordine monastico dei Gerosomilitani, da cui appunto Santa Maria di Malta in onore dei cavalieri del Santo Sepolcro. Info tratte da: http://www.monumentiaperti.com |
Vincitori: Gabriela P., Oscar S., Antonella S., Paola S.
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Domus de janas - Domu e S'Orcu - Setzu (VS) Tra le rare domus de janasI presenti nel territorio della Jara di Tuili, Setzu e Gesturi particolarmente interessante risulta la grotticella funebre artificiale di Domu e S'Orcu. La grotticella di roccia nuda e giallastra (gres calcareo marnoso) è aperta a conoide, frastagliata e degradata e con frequenti conche naturali alla superficie, si trova a meno di 500 m a sud-est del nuraghe s'Uraxi. L'esposizione del seppellimento risulta a sud-est. Lo schema planimetrico ripete in sostanza quello noto da numerose grotticelle funebri artificiali, ma presenta numerose affinità specifiche con la "Domu" di Pranu Corongiu di Laconi. I vani del padiglione, dell'anticella e della cella si allineano su di un breve asse sviluppato in longitudine e due altri minori ambienti, armonicamente sul lato destro dello stesso asse, con ingressi, indipendenti dalla cella, rispettivamente, e dalla anticella. Non è presente nessun interesse decorativo e nessuna sagoma speciale: la complicazione dei vani, avvenuta forse, a tappe successive, secondo le esigenze delle deposizioni, e il timido inizio architetturale lo si deve alla tenerezza e al facile intaglio del nucleo di roccia marnosa: intaglio non sempre e in tutto regolarmente geometrico, più spesso segnato da scheggiature, smussature agli angoli indicanti l'uso esclusivo, nello scavo, di picchi o mazze in pietra. Ciò è evidente negli ingressi a bocca di forno dalla cella e dall'anticella nelle cellule, e nel contorno del portello d'ingresso, quadrangolare e ristretto verso l'alto con due fori per paletto agli angoli superiori esterni dello stipite. Nonostante la ormai nota generale tipologia eneolitica delle grotticele fatte ad arte in Sardegna, rimane problematica l'appartenenza della nostra, sia per l'incerta attribuzione della poca ceramica ritrovata in superficie, sia per la vicinanza, e quasi sicuramente, per la relazione di questa col nuraghe S'Uraxi, costruzione dell'età del bronzo. Info tratte da: http://www.sacoronaspa.it |
Vincitori: Giovanni A. N., Rosa V., Giovanni A., Maria C. P., Daniela C., Laura C., Antonella S., Lorenza B., Gabriela P., Anna S., Fulvia M., Mario Z., Paola S., Mario S., Paolo C., Filomena P., Oscar S., Paolo C.
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Murales e fontana dello Zodiaco - Tinnura (OR) Il paese, abitato già in epoca nuragica, è situato sul limitare dell'altopiano basaltico della Planargia, e si affaccia sulla ridente vallata di Modolo che degrada tra uliveti, frutteti e vigneti, compresi quelli del Malvasia, verso il mare della costiera occidentale della Sardegna. Nel territorio comunale, che si estende per una superficie di 3,78 Kmq, si insediarono aziende agrarie romane dedite alla coltivazione cerealicola, che sopravissero fino al medioevo. In seguito si sviluppò l'allevamento e fu introdotta la coltura dell'ulivo e della vite, ed attualmente fa parte della Strada della Malvasia. Situato al centro della Planargia, vi si intersecano importanti vie di comunicazione e la strada ferrata Macomer-Bosa, dove attualmente viaggia il TRENINO VERDE. L'attività tipica è rappresentata dalla lavorazione dell'asfodelo. La produzione di una cestinerai ricca di decorazioni tradizionali, che un tempo costituiva parte integrante del corredo delle spose, l'ha reso rinomato insieme al vicino Flussio. Grazie ad un'accorta opera di riqualificazione urbanistica, il centro abitato si presenta al visitatore ben ordinato, ed esercita un fascino discreto con le sue vie e piazze lastricate in basalto, dove accanto al recupero dei selciati, si associano pavimenti policromi realizzati in trachite rossa, e in marmo bianco di Orosei, oltre al grigio dei basalti, che producono un gradevole effetto cromatico. Si Segnala la semplicità della Parrocchiale dedicata a S. Anna, con l'elegante e slanciato campanile con le sue caratteristiche bande orizzontali rosso mattone. Oltre ad un moderno Centro Congressi inserito in un'area polifunzionale che si estende per oltre due ettari, con impianti sportivi, ricreativi, laghetto e giochi d'acqua, sono presenti diverse opere artistiche quali: - murales (ispirati alle attività tradizionali del territorio); - piazze monumentali (Piazza del Sole, in cui accanto ad una simbologia che dal periodo nuragico spazia fino all'età moderna, decorando le pareti perimetrali , si inserisce un monumento alla donna, che troneggia al centro di una fontana rotonda, che rappresenta una lavoratrice d'asfodelo. Piazza Giovanni XXXIIIMunicipio con i Murales e la Statua raffigurante il Dio dei Venti (il paese è battuto dal Maestrale); - fontane (tra le altre quella dello Zodiaco. Inserita in uno spazio decorato con i disegni stilizzati della cestinerai, si snoda con un ciclo rappresentante i dodici segni zodiacali che, scolpiti in basalto, fanno sgorgare l'acqua, che cade su due ordini di vasche sovrapposte). Le opere sono state realizzate da artisti sardi di fama nazionale quali gli scultori Pinuccio Sciola, Carmine Piras, Simplicio Derosas, Stefano Chessa, ed i muralisti Angelo Pilloni, Pina Monne, Giambattista Loi, Fernando Mussone e Francesco Del Casino. Info tratte da: http://www.comune.tinnura.nu.it |
Vincitori: Paola S., Baballotto, Oscar S., Antonella S., Luisa M., Laura C., Mario Z., Gabriela P., Gian Giovanni Andrea N., Sebastiano M., Samuele G., Lorella D., Paolo C., Bea S., Teresina P.
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Tomba dei giganti Su Cuaddu 'e Nixias - Lunamatrona (VS) La tomba di giganti di Su Cuaddu 'e Nixias (Lunamatrona),che presenta una struttura bipartita nel corridoio funerario, è lunga 13.25 m. L'esedra, di 13.90 m di corda, presenta la stele centinata nel mezzo. La camera funeraria è parzialmente scavata nel banco roccioso di marna. Sul fondo del vano sepolcrale si trova la parte più antica del monumento, una cista quadrangolare di circa 1 m di lato e 70 cm di altezza, segnata sui lati da blocchi disposti a coltello. Il piano della cista è di poco sopraelevato rispetto all'antistante corridoio della tomba di giganti, anch'esso limitato ai lati da blocchi ortostatici e lungo complessivamente 10.30 m. La stele centinata frammentaria (altezza residua 2.90 m, larghezza 2.70 m, spessore 0.25/0.38 m) si distingue dai numerosi esemplari conosciuti nel resto della Sardegna centrale per avere la parte inferiore suddivisa a riquadri incavati ai lati del portello d'ingresso. Lo stile delle architetture, la presenza della stele centinata al centro dell'esedra e la tipologia dei manufatti rinvenuti durante lo scavo, oggi esposti nel Museo Archeologico Genna Maria di Villanovaforru, consentono di riportare il monumento alle fasi arcaiche della civiltà nuragica, intorno ai secoli XVI-XV a. C.. Info tratte da: http://www.sacoronaspa.it |
Vincitori: Oscar S., Romano M., Paola S., Rita A., Renato M., Rosa V., Laura M., Ika M., Paolo P.
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Su Collegiu - Busachi (OR) Tutto a Busachi sembra voler ricordare la sua antica importanza: storicamente capoluogo e centro del Barigadu, è ricca di testimonianze archeologiche, storico- culturali, importanti monumenti religiosi; tra questi, Collegiu e Conventu: il primo, piccolo gioiello architettonico in stile sardo- catalano, risale al 1571, è costituito da un chiostro- cenobio destinato ai gesuiti annesso alla chiesa di S. Maria delle Grazie – oggi completamente distrutta -; allo stesso periodo e stile appartiene la chiesa oggi sconsacrata di S. Domenico, detta Conventu, che sopra il portale della facciata mostra lo stemma del marchese Torresani, a cui si deve la realizzazione di questi edifici. Dopo essere caduti in rovina, Collegiu e Conventu hanno perso la loro principale funzione ma, capaci di testimoniare ancora gli antichi fasti di Busachi, oggi si reinseriscono nella vita culturale del paese: a Collegiu vengono organizzate mostre estemporanee, rappresentazioni teatrali e spettacoli legati alla tradizione locale; Conventu, che fino a poco tempo fa ospitava le riproduzioni delle opere del pittore Filippo Figari, è stato adibito a museo del Lino e del Costume; quest’ultimo è qui rappresentato con i suoi pezzi più antichi e più pregiati, nella varietà delle forme e di realizzazione che lo caratterizzano a seconda dell’occasione in cui viene indossato: la quotidianità, il lutto, la festa, il matrimonio. Ma anche percorrendo il centro abitato, insieme all’architettura in trachite rossa che ha conservato nel tempo le caratteristiche originali, si possono ammirare i pittoreschi costumi indossati ancora oggi, con elegante naturalezza, dalle donne busachesi che, con sapiente e costante laboriosità, hanno permesso che gli usi e i costumi locali, custoditi gelosamente, non venissero dimenticati. Info tratte da: http://www.barigadu.or.it/ |
Vincitori: Massimo M., Mario Z., Barbara D., Francesco T., Emilio C., Marcella D., Daniela M., Luisa M., Paola S., Gabriela P., Massimo R.
Su Suercone - Orgosolo (NU)
Su Suercone (Su Sellone, Su Sercone) è una grande dolina di origine carsica situata nel vasto altopiano di calcare mesozoico del Supramonte di Orgosolo, un’area considerata di eccezionale interesse paesistico.
Il ciglio della depressione, imbutiforme, è a 884 m slm, il fondo a 685. La profondità è di 200 m. Il diametro dell’imboccatura è di circa 400 m, la superficie di 18,09 ha. Al suo interno, a 700 m slm, si apre un inghiottitoio sub-verticale, profondo 30 m, forse comunicante col vasto sistema carsico sotterraneo.
Di grande interesse anche la stazione di tassi secolari presenti all’interno del Su Suercone, alti dai 18 ai 20 m e con diametri del tronco che possono raggiungere il metro.
L’area è ricca di testimonianze archeologiche, alcune provenienti dagli stessi anfratti del fondo della dolina, riferibili ad un’utilizzazione funeraria durante la preistoria ed in epoca storica.
Maggiori informazioni: http://www.elioaste.it/scsuercone.htm
Vincitori: Daniela M., Vinicio A., Laura M., Ida N., Paola S., Angela M., Ganriela P., Luisa M., Silvana C., Antonella S., Mario Z., Laura C., Rosa L., Teresina P., Paolo C., Giuseppe C., Ornella G., Matteo M.
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Santuario campestre di San Mauro - Sorgono (NU) Il santuario campestre di San Mauro è situato su una collina di 478 metri sul livello del mare ed è sito a 7 km dal Comune di Sorgono (57° Km della SS388), alle pendici del mone Lisai. La zona è il centro geografico della Sardegna ma anche punto di convergenza dei confini territoriali di Ortueri, Atzara e Sorgono. Accanto al Santuario, si trovano i muristenes, loggette o portici, che un tempo erano utili ai rivenditori di merci durante la festa. I locali ignorano il nome di Cumbessias (cioè camerette che in origine venivano occupate da frati laici o conversi) ebbero invece destinazione umanitaria di lazzaretto nel 1695 e accolsero vari appestati, come indica un graffito della facciata ed un canto in lingua sarda del poeta estemporaneo Chiccu Murru, che recita: “…Sos locales chi sunu in Santu Maru finzas po lazzaretos fin servidos, tantos omines da peste colpidos inie agatadu hana riparu….” Anche se negli ultimi anni, da alcune ricerche svolte, si smentisce la notizia dell’esistenza di un monastero con annesso lazzaretto e si suppone l’ipotesi che la grandiosità dell’edificio sia stata voluta dal Tribunale dell’Inquisizione forse per una colpa di un importante signore del Mandrolisai o dell’intera popolazione della zona. Testimonianze in questo senso si possono ottenere oltre che tra i nostri studiosi isolani, quali il Naitza e il Sorgia, anche tra gli Archivi Nazionali di Stato presso Barcellona. Il complesso in particolare si presenta con un numero cospicui di cumbessias disposte a fomare un recinto quadrilatero irregolare che fa luogo a un piccolo villaggio avente come fulcro la chiesa; ad essa sono stati addossati una serie di ambienti legati alle funzioni del novenario e databili per lo più al secolo scorso, che ne movimentano il profilo. L’accesso al complesso avviene su una strada con acciottolato affiancata su due lati da porticati e da casette a schiera e sfociante singolarmente verso la parte retrostante la chiesa. Tutto ciò è visibile ancora oggi poiché le singole ristrutturazioni non hanno intaccato le piante del tracciato originale. In alcuni muristenes (nella parlata locale si identifica il muristenes come vere e proprie abitazioni temporanee) a tutt’oggi sono conservate le capriate dette "cuaddu armatu". La situazione attuale de is muristenes non è delle migliori, infatti sono abitabili solo alcuni appartenenti a delle famiglie che risiedono nel Comune di Sorgono, mentre le antiche stalle o ricoveri per animali sono oramai quasi distrutte. Il santuario di San Mauro fu costruito intorno al 1120 dai monaci Benedettini, sulle rovine di una Chiesa preesistente, ma di questo primo impianto non si riesce ad individuarne traccia. Intorno alla fine del 1400, quindi in epoca aragonese iniziano le vere e proprie opere di costruzione che si sono protatte fino alla fine del 1500: infatti la Chiesa è un esempio di sintesi tra tardogotico e rinascimentale con innesti barocchi. La Chiesa è di pianta rettangolare, con una facciata di pietra squadrata di trachite di 10 metri di altezza e altrettanti di larghezza ed un rosone di stile romanico, che è il più grande esistente nell’isola con due metri di raggio. L’interno è costituito da una navata coperta con volta a botte ogivale ripartita in sei campate sottolineate da sottarchi acuti e terminate con una zona presbiteriale rialzata più stretta dove si apre un oculo che illumina la navata. In corrispondenza di ciascuna campata, sui due lati, si aprono delle edicole definite da lesene e timpani triangolari. Sul presbiterio, racchiuso da una balaustra, sorge un altare barocco in marmo che accoglie in una nicchia una pregevole statua lignea del Santo. Il portale, costituito da semicolonne e da un timpano curvilineo è di derivazione tardomanierista. Nel monumento quindi è possibile ravvisare il sincretismo di gotico aragonese e di tardo manierista italiano. Esternamente i fianchi sono scanditi da alti contrafforti, mentre in facciata ne esistono altri due disposti in posizione obliqua che non assolvono ad alcuna funzione strutturale. Il fronte è preceduto da un’ampia scalinata in cui compaiono ai lati due leoni reggenti lo stemma di Aragona. Interessante è l’utilizzo di una stele di tomba di giganti, alla base a destra di una scala di accesso Informazioni tratte da: http://www.sagrasanmauro.it |
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