Formaggi di Sardegna
Nel 1776 esce a Torino ''Il rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramente di sua agricoltura'' di Francesco Gemelli, esponente del riformismo settecentesco e scrittore attento di cose Sarde. L'autore sottolinea già a quel tempo la rilevanza economica degli allevamenti ovini e caprini nell'isola; allevamenti rilevanti per la consistenza delle greggi, per il numero di addetti, per la diffusione su tutto il territorio, per le derrate che da essi provengono. Tra l'altro scrive: "Ma venghiamo finalmente al cacio, del quale fassi di verità copia considerevole in Sardegna, di pecorino intendasi e di caprino, giacchè il vaccino è tenuissima quantità, nè solo a proprio uso, ma ad oggetto altresì di commercio''. Sono operatori commerciali, laziali e campani, che sui porti di Arbatax ed Olbia alimentano traffici di merci diverse e le scambiano con il formaggio destinato ad essere rivenduto a Genova, Livorno e Napoli. I genovesi ricercano il Pecorino Sardo per il loro pesto; i napoletani lo usano da tavola, i toscani lo accompagnano alle favette fresche. E ancora il Gemelli, poco più avanti, esalta la bontà dei prodotti e la particolare idoneità dell'ambiente naturale. Tuttavia l'entusiasmo non gli impedisce di sottolineare, da attento osservatore, i difetti merceologici delle derrate che pur apprezza. "Fa la Sardegna di buoni formaggi in varie parti, e far gli potria eccellenti per tutto, avendo quest'isola comunemente pascoli saporosissimi, ed aromatici, se alquanto più di cura volesse porre in guardarsi da certi difetti, i quali ne scemano la bontà ''. "Se la preparazione del cacio sardesco rispondesse alla sua quantità non avrei che a lodare i pastori, i quali sono i manipolatori dei formaggi, e ad esortarli a proseguire sul piede antico''. Ma cosi non è, e passa ad elencare le carenze tecniche che ritrova in quei formaggi: uso di latte troppo acido. "Se la preparazione del cacio sardesco rispondesse alla sua quantità non avrei che a lodare i pastori, i quali sono i manipolatori dei formaggi, e ad esortarli a proseguire sul piede antico''. Ma cosi non è, e passa ad elencare le carenze tecniche che ritrova in quei formaggi: uso di latte troppo acido, dosi eccessive di caglio, spurgo non corretto delle cagliate, troppo sale ed infine asciugatura al fumo.
Il Gemelli non lo dice espressamente, ma verosimilmente ''il cacio sardesco confezionato in forme non grandi'' è il Fiore Sardo, unico formaggio che viene a noi dalla tradizione pastorale, ed oggi come allora produzione esclusiva degli allevatori di ovini. Per quanto generoso fosse il suo sogno di "rifiorimento della Sardegna'', non poteva pensare che quel "cacio'' era destinato ad essere oggetto di trattati internazionali con la Convenzione di Stresa e ad ottenere la Denominazione di Origine; e che attorno ad esso si potesse costituire un Consorzio per la tutela sua e del suo nome. Nonostante i suggerimenti del Gemelli, per l'incuria del suo principe, la Sardegna non ''rifiorisce'' e la sua zootecnia, giusto un secolo dopo, nel 1870, si trova a fronteggiare le conseguenze della denuncia del trattato commerciale con la Francia. Difficoltà gravi, non solo per l'isola ma per tutta l'agricoltura italiana, che la Sardegna in qualche modo supera, riconvertendo gli allevamenti bovini in ovini e caprini da latte. Alla dilatazione della base zootecnica corrisponde un ulteriore sviluppo delle produzioni casearie ed i pastori continuano ad essere "i manipolatori dei formaggi". La grande svolta del caseificio la si ha poco più tardi, in conseguenza di due fatti esterni alle cose sarde ma destinati a segnare profondamente la zootecnia ed il caseificio sardo. Nel 1884, il Sindaco di Roma vieta ai "Pizzicaroli'" di salare il formaggio pecorino il "Romano" appunto, nei loro retrobottega.
La cosa non fu da poco; i "Pizzicaroli" per un verso organizzano alla periferia della città le prime cantine di salagione, accanto alle qualisorgono poi i primi centri di caseificazione, ma per un altro verso resistono in giudizio contro l'ordinanza del Comune di Roma perdendo però la causa. Il formaggio Pecorino Romano in quegli anni conosce una grande espansione dei consumi, al punto che il latte delle greggi laziali non è in grado di soddisfarla. I "Pizzicaroli" sbarcano nell'isola per organizzare la produzione di quel Pecorino Romano che non riescono più a produrre in proprio. In questo e non in altro sta la spiegazione del fatto che il formaggio maggiormente prodotto in Sardegna si chiami Formaggio Pecorino Romano. Oltre un secolo di produzione e profonde rivisitazioni impresse dagli Istituti Sardi di ricerca e di tecnologia applicata, al fine di migliorarlo, pur mantenendo la sua specificità. Intanto la caseificazione inizia a specializzarsi, sia per l'opera dei ''pizzicaroli'' e dei "pecorinari" , sia per l'attività di operatori economici privati e di cooperative di allevatori.
E' di quegli anni la comparsa sul mercato internazionale del brevetto di Hansen per la produzione e la commercializzazione del caglio liquido. Nello stesso tempo a Sassari il Prof. Pellegrini, un toscano innamorato della Sardegna, contribuisce alla realizzazione dell'Istituto Tecnico Agrario, al quale annette un caseificio sperimentale. Pensa ad un pecorino "migliorato" e tenta ardite operazioni di rivisitazione del caseificio sardo e meridionale. Di fatto tiene a battesimo quella classe ampia ed articolata di formaggi, a pasta sostenuta ed a maturazione medio-lunga, conosciuta come formaggio sardo o formaggio del pastore. Nascono cosi i progenitori di quegli assortimenti mercantili che di recente hanno ottenuto il riconoscimento di specificità e la Denominazione di Origine di Formaggio Pecorino Sardo. Intanto nell'isola continua lo sviluppo degli allevamenti e si moltiplicano i luoghi destinati alla caseificazione, ubicati presso le stesse aziende zootecniche. Vengono invece concentrate presso centri abitati, vicini a nodi ferroviari, le strutture di salagione e maturazione dei formaggi. Questo assetto della trasformazione del latte ovino nell'isola colpisce molto Piero Gobetti, che nel suo saggio "ll problema sardo"', del 1924, fra l'altro scrive: ''I caseifici danno la fisionomia generale dell'economia dell'isola e riescono a conquistare i mercati americani determinando cosi un afflusso di denaro in Sardegna. Vedremo la nuova psicologia sarda sorgere intorno a questa moderna trasformazione dell'antica Pastorizia''. Nel frattempo, a seguito della riduzione drastica dei capi ovini delle regioni dell'Italia meridionale, arrivano in Sardegna i formaggi ovini tipici di quelle zone: i "canestrati".
Questi ultimi presentano una gamma articolata di assortimenti mercantili, diversi fra loro per forma, pezzatura e fragranza; e si accomunano fra loro per la particolare rigatura esterna, impressa sulla crosta dai canestri di giunco, entro cui vengono confezionati. Ma non basta ancora: approdano anche gli Operatori economici greci alla ricerca del latte ovino, materia prima per il loro Feta e per il Vise. Un cenno merita anche la ricotta, o meglio, le ricotte. Infatti dalla tecnica della ricottura del siero si ottengono una serie di prodotti diversi fra loro per struttura, tessitura e consistenza della pasta: diversi per sapori, aromi e per destinazione d'uso. La delicata "Gentile" è usata tradizionalmente per la preparazione di robusti primi piatti e in pasticceria come base per la preparazione di dessert. La ricotta fresca, asciugata all'aria e spolverata di sale per assicurarne la conservazione, si propone come eccellente prodotto da tavola. La si ritrova in commercio sotto varia forma (cilindrica, tronco-conica o sferica).
Un classico prodotto da nicchia, riservato ad un mercato limitato ed esigente. Anche la variabilità dell'aspetto esterno è da riportare ad abitudini ed usi locali, piuttosto che ad una reale differenza del prodotto. Un processo di asciugatura più spinto rende le ricotte adatte anche alla grattugia. Dai tempi del Gemelli ad oggi sono trascorsi due secoli, e il sistema agroalimentare sardo si è evoluto e trasformato; ha accettato suggerimenti esterni, ha ripensato la propria tradizione e l'ha adattata, senza snaturarla, alle aspettative di un consumatore che pretende rigorose garanzie di qualità e di genuinità. Tre prodotti a Denominazione di Origine, Pecorino Sardo, Pecorino Fiore Sardo, Pecorino Romano, questi ultimi due inseriti anche negli atti della Convenzione di Stresa del 1951, sono le credenziali di nobiltà e di qualità del caseificio dell'isola.